Pepe e il topino che non voleva morire

Quella mattina c’era un silenzio strano in casa. E quando c’è silenzio, con quattro gatti, significa sempre una cosa: qualcuno sta combinando qualcosa.

Faccio due passi nel corridoio e lo vedo: Pepe. Coda tesa, occhi spalancati, postura da ninja. Un concentrato di adrenalina.
“Eccoci… è in modalità killer.” penso.

Poi noto il motivo di tutta quella scena: un topino. Vivo. E parecchio deciso a restarlo.

Pepe lo tiene tra le fauci con l’orgoglio di chi ha appena catturato un leone della savana. Ringhia pure.
Gli dico:
“Pepottino, amore… cos’hai lì?”
Lui mi guarda come per dire “Non vedi? Il trofeo del secolo.”

Il problema è che questo topino non vuole assolutamente collaborare con il destino.
Appena Pepe lo molla un secondo per vantarsi con me…
SCAPPA.
Come se avesse il fuoco dietro.

Pepe gli salta addosso.
Il topino si finge morto.
Pepe si distrae un microsecondo.
Il topino risorge e corre via come un missile.

Io li guardo girare per la casa come in un cartone animato.
Ogni tanto provo a intervenire, ma loro due sono lanciati in una guerra psicologica.

A un certo punto mi esce proprio dal cuore:
“Pepe, amore della mamma… o lo lasci libero o lo mangi. Ma io non posso vivere questa tensione.”

Pepe mi lancia uno sguardo offeso. 
Lui stava lavorando.
Professionista serio.
Predatore di altissimo livello da 4 chili scarsi.

Il topino, approfittando del momento emotivo, scappa di nuovo.
Pepe ringhia, io mi arrendo.

Alla fine apro la porta del balcone.
Il topino vede la libertà e… BOOM.
Esce come un proiettile e scompare nei vasi.

Pepe rimane fermo, paralizzato.
La sua faccia diceva tutto:
“Mi ha… fregato.”

Gli accarezzo la testa e gli dico:
“Dai, Pepottino, oggi non era giornata. Capita anche ai migliori.”

Lui, fiero ma ferito nell’orgoglio, si stende sul tappeto con un sospiro pesantissimo.
E così si è conclusa la nostra avventura con il topino che non voleva morire.

Il topino è vivo.
Pepe è traumatizzato.
E io… ho bisogno di un caffè doppio.

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